Devo scrivere per rettificare quanto dichiarato da me nell’articolo Rosè o non Rosè: il 16/12/2019 ho scritto: “…per ora non esiste il prosecco rosé (a parte che nell’iperspazio delle truffe ai prodotti alimentari italiani in giro per il mondo)”

Ecco, non è più vero, ora si può produrre, si può etichettare una bottiglia con il nome Prosecco Rosè. E’ stato redatto un disciplinare:

https://www.prosecco.wine/en/node/743

https://prosecco-wine.s3.eu-west-1.amazonaws.com/inline-files/Prosecco_Indicazioni%20tecniche%20tipologia%20ros%C3%A9.pdf

Vademecum per la gestione documentale dei prodotti

Queste regole determinano come va fatto e quali sono i paletti entro cui stare per potersi chiamare Prosecco Rosè. Per chi proprio muore dalla voglia di leggere le politiche agricole, ecco un altro interessante articolo:

https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/16153

Ok.

Io però ho scelto di non venderlo, di non metterlo nella mia vetrina. Io amo molto i vini rosé, e sto lavorando per ampliare l’offerta di rosé di qualità nel mio negozio; presto ne avrò di nuovi, ottimi. Ma il Prosecco Rosè non mi ha convinto. Non ho chiaramente provato tutte le etichette che lo propongono, dunque non entro nel merito del vino in sé, ma solo nell’aspetto filosofico della produzione.

I rosati, i rosè, sono vini delicati, vittime di grandi pregiudizi, spesso fondati purtroppo, perché si tratta di vini che in passato sono stati identificati con delle vere schifezze, oltre che essere spesso soggetti a truffe (https://winenews.it/it/truffa-doltralpe-34-000-ettolitri-di-rose-spagnolo-rivenduto-come-francese-o-male-etichettato_368113/). Però, se si riesce a districarsi nella foresta dei vini rosa di colore, esistono dei rosè meravigliosi, ed in Italia particolarmente.  Detto questo, non sono particolarmente convinta che il prosecco si presti a questa declinazione in pink.  Il primo fondamentale aspetto da tenere ben presente è che si tratta di un mix ottenuto con Prosecco Doc Treviso, ovvero quello che si dice essere prosecco di pianura, e Pinot Nero DOC, veneto o friulano: la base (85%) non è DOCG Conegliano Valdobbiadene. Nel disciplinare non è per ora previsto. Dunque già per produrlo bisogna essere delle cantine diverse da quelle che ho finora scelto io.

Questo negozio, tramite la vendita, racconta la storia di vari piccoli appassionati produttori. A parte Montelliana che è una importante cantina sociale che produce grandi volumi, le altre cantine rappresentate sono tutte piccole e medie produzioni. Sono aziende di persone che io conosco personalmente, che incontro quando vado a comprare il vino; sono tutte aziende situate in luoghi abbastanza difficili da trovare, lungo stradine tortuose, dove quando si incrocia un trattore bisogna accostare, in due non si passa.  Soprattutto, sono tutte cantine di viticoltori di pendio; le vigne di Santo Stefano o di Saccol sono molto ripide: così scoscese che ogni volta mi chiedo come gli sia venuto in mente di piantare delle viti lassù. Mischiare del DOCG ottenuto da vigne cosi scomode da lavorare con del Pinot Nero di produzione altrui è chiaramente impensabile per produttori come le piccole realtà che presento io.

Ma questo mi porta a riflettere sulle persone. Dietro le bottiglie che vendo io ci sono persone come Ruggero di Ruge che mi accoglie sempre con un sorriso, parliamo di cani mentre carichiamo la mia sporchissima jeep, vitale per raggiungere la sua cantina, inerpicata in cima alla vigna. Oppure Michele di Bastìa che lega le sue vigne ad una ad una con i tralci di salice che si porta dietro legati in vita, ci salutiamo urlando mentre lui è appunto inerpicato sul ripidissimo pendio dei suoi filari. Ecco, non so dire esattamente perché, ma per me la produzione del prosecco rosè e queste persone non c’entrano proprio niente uno con l’altro.

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